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Piazza Goldoni – Palazzi e negozi

Giù per via Ginnastica, stando sulla destra, oltre la via Carducci.
Il giro della piazza inizia qui con il palazzo Georgiadis tra la via Carducci e la via Giacinto Gallina. Dei grandi palazzi è l’ultimo a nascere in uno stile prettamente austro-ungarico che lascia un po’ stupiti perché siamo già al 1928. L’arcano è spiegato dal fatto che il progetto del palazzo risale al 1918 allorquando lo stile littorio era ancora lontano.
Fatto costruire dalla famiglia greca Georgiadis, dotato di portici, restaurato una decina di anni fa’ con manutenzione e pulizia delle facciate e l’installazione di un impianto di luci che nelle ore serali fa risaltare la ricca bellezza della casa.

Attraversata la via Giacinto Gallina ci si imbatte nella casa che ha avuto per tanti anni il negozio di piante Righi chiuso qualche anno fa’ ed è sede del consolato della Croazia.
Sotto anche la macelleria/gastronomia Tamburini esistente dal 1971, ma che è in piazza Goldoni solo dal 2014 al posto di una parte del negozio di lampade Minelli che ora rimane tutto nel palazzo contiguo di via G. Gallina
Scompare
alla vista questa piccola casa accanto al grande edificio progettato da Berlam per il ricco commerciante Caccia. Sull’angolo sinistro lo storico negozio alimentari Bosco aperto nel 1880 da Antonio Bosco e che vedrà distrutto il suo negozio all’inizio del primo conflitto stante le sue chiare idee irredentiste.
Verso destra
la torrefazione Cremcaffè aperta nel 1955 da Primo Rovis, un imprenditore triestino – venuto profugo nel ‘47 dall’Istria – di grandi capacità ma soprattutto un grandissimo benefattore (1)
La torrefazione ora è di proprietà della società Meinl e di un imprenditore triestino del settore della panificazione da antica data.
Oggi da Cremcaffè si beve il caffè (in una delle decine di “forme” che solo Trieste sa offrire) e si acquista il pane.

Oltre la via Mazzini una casetta che non può vantare come padri degli illustri architetti. Ha però sotto un bar storico, aperto nel 1921 da Antonio Venier che come il nome fa intuire era veneziano. Inizialmente non era bar ma liquoreria molto raffinata e con liquori delle migliori marche.
Dopo la cessione ad altri da parte della famiglia Venier ritiratasi a Milano l’esercizio ha continuato a mantenere lo stesso nome stante che nel contratto di vendita i Venier stabilirono che chiunque avesse comperato il bar avrebbe dovuto mantenere inalterato il nome Venier. O almeno cosi si dice.

Al di là del Corso Italia il palazzo con la farmacia “Rovis, all’Angelo d’Oro” con la sua grande insegna verticale di oltre 10 metri e di cui ora è in corso la pratica per vincolarla come bene storico.
C
omunemente detta Farmacia Rovis dal nome del suo primo proprietario che non era farmacista in quanto all’epoca non necessitava la laurea per gestire una farmacia. Egli poi vendette al dott. Pegan e da lui al figlio che ora è comproprietario assieme alla dottoressa Corrao.
Il palazzo è anonimo, ma solo nel senso etimologico del termine ossia senza nome come invece tanti palazzi hanno. Forse, ma non ho trovato dati certi, colui che lo fece costruire era tale Marino Lusy che è poi la persona che lo ha donato in beneficenza come dico tra qualche riga
Il palazzo costruito dagli arch Skerl e Cavalieri risale a quando fu aperta la galleria Sandrinelli ossia al 1907.
Al suo posto c’era un palazzo che però era più largo ossia occupava un tratto di quella che oggi è via Silvio Pellico e fu abbattuto proprio per creare la viabilità che noi oggi abbiamo. In vecchie fotografie si vede la galleria in costruzione ed il palazzo che in parte andava a ostruire la via di ingresso/uscita della nascente galleria.
Da una attenta osservazione con lente di una fotografia dell’epoca sembra che sull’angolo ci fosse già nel primo palazzo una farmacia.
Venendo ai giorni nostri l’intero fabbricato è
ora di proprietà della Fondazione Ananian che ha sede all’Itis di via Pascoli e che ha provveduto di recente (fine lavori settembre 2016) a rimettere a nuovo le due facciate.
All’Itis il palazzo è stato donato da Marino Lusy come targa apposta nel 1960 sul lato via Silvio Pellico ricorda (2)

Attaccato a questo palazzo e costruito dall’ arch. G. Polli con la collaborazione dell’arch. Bruna vi è il sontuoso palazzo del Monte di Pietà (3).
Giusto citare qui questo palazzo anche se in via Pellico perché dalla piazza Goldoni si gode di ampia vista sulla sua bellezza. Ma per ammirare le forme, apprezzare la scritta in alto sopra il palazzo è utile salire almeno un paio di rampe della Scala dei Giganti

Seppure il più basso di tutti ed anche semplice nelle sue linee il palazzo Tonello è forse quello che attira di più l’occhio di chi passa per la piazza. Giusto sia così perché è quello più ricco di storia.
Conosciuto come prima sede del Piccolo ha i suoi natali nel 1801 (4). Nasce come casa per qualche ricco possidente ma ivi andò poi ad abitarci Domenico Rossetti (1822), salvo poi venderla all’armatore cav. Giuseppe Tonello (5) nel 1861.
Da qui il nome che assunse la casa anche se la famiglia Tonello non la tenne a lungo. Una cinquantina d’anni e poi si fa vivo Teodoro Mayer, colui che fonderà il Piccolo nel 1881 mettendoci lì la sua sede.
Teodoro Mayer, vicino alle idee liberal nazionali di Felice Venezian, alla borghesia filo italiana, legato a gruppi irredentisti divenne con il suo “Piccolo” punto di riferimento della italianità ma anche obiettivo della parte avversa che nel 1915, alla dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria, diede fuoco alla sede del giornale.
Chissà, forse per questi antichi trascorsi, piazza Goldoni è sempre stata la piazza preferita per i comizi (al tempo in cui i comizi esistevano non ancora sostituiti dalla TV) della destra, MSI in testa.
Dopo la seconda guerra la redazione era tutta nella palazzina di via Silvio Pellico e la palazzina Tonello ebbe altre destinazioni.
Intorno agli anni ’50 il primo piano fu destinato a vendita ed acquisto di beni usati (radio, orologi, piccoli mobili, oggetti per la cucina, lo sport, giocattoli ecc) messi in bella mostra in armadi con le ante di vetro.
Oggi ha sede l’Unione degli istriani.
Sotto sulla destra nel 1953 approdò Galtrucco, negozio di stoffe rinomato e frequentato perlopiù dalla ricca borghesia triestina e non solo triestina.
Dopo Galtrucco varie brevi destinazioni fino alla attuale come locale della catena Mc Donald’s.
Sull’angolo sinistro per molti anni ci fu l’Universaltecnica (poi passata nell’altro palazzo sul corso Saba) ed ora sala di slot machine.
Ahh povero Tonello, povero Mayer ma soprattutto povero Domenico Rossetti. Voglio sperare che là dove sono abbiano altro da guardare e non come in basso sia caduto il loro palazzo.

Il giro continua.
Passato Corso Saba c’è palazzo Sordina che ha sotto il negozio di calzature Castiglioni. Vecchio palazzo costruito per tale Giovan Battista Scrinzi dall’arch. Degasperi a metà dell’800 fu acquistato poi dalla ricca famiglia Sordina. Vi abitò con la madre Francesco Sordina e da qui il nome al palazzo.
Del primo proprietario resta un poco visibile stemma GBS ricavato nella inferriata del poggiolo che dà sulla piazza.
Era in uso a quei tempi usare le inferriate del poggiolo per qualche informazione su nomi o date. Anche in via degli Artisti il poggiolo a destra del Filodrammatico ci indica la data di costruzione della casa.
Da qualche parte ho letto che sull’architrave del portone ci sarebbe medaglione con le iniziali, ma di ciò non ho trovato traccia pur essendo i 2 portoni autentici dell’epoca.
Particolarmente bello con i suoi bassorilievi scolpiti nel legno il portone sul corso Saba.
Francesco Sordina è ricordato in molti scritti e lettere di Joyce in quanto lo scrittore ne fu allievo. Ma anche destinatario di molti favori elargiti da Sordina ed i maligni dicono che l’amicizia del Joyce verso Sordina fosse solo questione di interessi.
Sull’angolo del palazzo il negozio Castiglioni è lì dal 1918 o solo qualche anno dopo. Nel negozio un documento incorniciato è testimone dell’encomio speciale per i meriti del negozio ricevuto dal Comune già nel 1923.
Aperto da Enrico Castiglioni, nonno dell’attuale proprietaria, venuto a Trieste da Busto Arsizio alla fine della prima guerra dopo aver venduto l’azienda tessile di famiglia. Qui a Trieste ebbe l’intuito di buttarsi sulle calzature
Nel 1937 quando morì i negozi Castiglioni di calzature erano ben 12 di cui 11 dati in gestione e quello di piazza Goldoni portato avanti direttamente dalla famiglia Castiglioni che oggi con Annalisa, quando la madre si ritirerà, sarà la quarta generazione a dirigere il negozio.

A fianco del palazzo Sordina la casa leggermente rientrata va ricordata per il buffet Venturi, il precursore delle aperture di un esercizio fino a notte fonda. Qui l’unico ritrovo dei nottambuli negli anni ‘60 prima dell’esplosione delle “movide”. Oggi non più meta di universitari, di persone uscite da teatro o dal cinema ma semplice e modesto kebab.
Il padre dei 2 fratelli Venturi è stato sempre il proprietario del vicino Bagutta in via Carducci.

Ancora due palazzi e poi il giro è completo.
A fianco del piccolo grattacielo vi è palazzo Piller così chiamato da chi lo commissionò assieme a Giacomo Weneditschitsch all’arch Righetti nella seconda decade dell’800.
Sulla facciata vi è un bassorilievo che molti attribuiscono a Antonio Bosa, allievo del Canova e che rappresenta la superiorità delle fede cristiano sul paganesimo. La facciata ebbe una sua ristrutturazione ai primi del ‘900 mentre il terzo piano fu aggiunto nel 1933.
Nella casa accanto ha chiuso i battenti nell’estate 2016 il negozio Villini, un plurimarca per la vendita ed assistenza macchine per cucire, vendita filati. Negozio ivi presente dal 1971 e che ora (autunno 2016) riapre l’esercizio in viale D’annunzio.
Restano così in città 2 soli negozi in questo settore – questo e quello di via Foscolo – dopo la chiusura dello storico negozio nella piazza di inizio Acquedotto della storica multinazionale Singer prima che i cinesi la comperassero e affondassero. (6)

Il giro termina con palazzo Parisi, anno 1913 e architetto Polli. I portici sotto un lato sono pendant con analoghi portici del palazzo Giorgiadis di 15 anni dopo.
Il naso all’insù stando nella piazza consente di notare 3 cose di rilievo.
La nicchia con statuetta che si dice provenire dalla casa precedente, 4 formelle con bassorilievi opera dello scultore Giovanni Mayer (7) e la scritta Stock che sovrasta il GranBar Italia, negozio storico che risale agli anni ‘20 e che dopo anni di crisi è ora risorto a ottima e giovanile vita con il nuovo proprietario sig. Franchi.
Faceva egli notare che la scritta Stock è
oggi sotto il vincolo della Sopraintendenza alle Belle Arti in quanto è l’unica rimasta in Italia di questa storica azienda triestina.
Ma a mio avviso anche un’altra insegna meriterebbe uguale attenzione.
E’ quella rotonda
ottimamente conservata sopra la tabaccheria nei portici del palazzo e che vanta l’antico stemma del TLT (quindi tra il 1947 e il 1954) con l’alabarda.

Nota 1
Facendo una eccezione pubblico – ringraziando – alcuni passi significativi tratti dal Piccolo 8 aprile 2014 in occasione della morte, a 91 anni, di Primo Rovis. L’articolo è a firma di Maurizio Cattaruzza.
“””…. nel 1947 aveva lasciato da esule Gimino d’Istria per andare incontro a una miniera d’oro racchiusa in un chicco di caffè….
… piccoli e grandi spicchi (o chicchi se vogliamo) di questa sua vita fortunata, che lo aveva portato a diventare negli Anni Ottanta il più ricco contribuente di Trieste ma anche tra i più facoltosi d’Italia davanti all’epoca anche a Berlusconi e Pirelli, li aveva voluti dividere con gli altri. “Trovo sia giusto destinare una parte dei miei guadagni alla collettività perchè io so cosa significa essere poveri”, diceva spesso. Bisognava ristrutturare la cardiochirurgia e non c’erano soldi pubbici? Bisognava acquistare costose apparecchiature sanitarie? Serviva una nuova sede per gli anziani della Pro Senectute? Ci pensava lui. In un attimo staccava un assegno e lo firmava. …
. Cremcaffè a Trieste era qualcosa più di un marchio, con quella torrefazione di piazza Goldoni dove c’era sempre gente in terza o quarta fila per bere un espresso o un frappè, un prodotto che Rovis aveva lanciato sul mercato triestino. Nell’attesa tutti si lasciavano ipnotizzare da quel nastro scorrevole che trasportava tazzine e bicchieri in cucina per essere lavati. Una sua invenzione. Ma il suo caffè arrivò anche nelle case delle famiglie dell’ex Jugoslavia grazie al suo intuito di sponsorizzare la squadra di calcio del Rijeka che all’epoca giocava in Coppa Uefa, la Stella Rossa di pallacanestro e il campione di pugilato Mate Parlov. C’erano delle giornate in cui carabinieri e polizia erano costretti a intervenire in piazza Goldoni per mettere un po’ d’ordine tra la ressa di centinaia di clienti d’oltreconfine. Anni d’oro che finirono nel 1989. Rovis aveva capito che un mercato sempre più globalizzato avrebbe finito per fagocitare la sua florida ma piccola azienda ….
…. Fino a pochi anni fa è rimasto in prima linea anche con un’altra sua creatura, l’Associazione “Amici del cuore”, centinaia di soci e tante donazioni.
La sua seconda vita, una volta chiusa la parentesi del caffè, Rovis l’ha dedicata quasi interamente alle pietre, ai minerali pregiati da lui valorizzati e importati in Italia dal Brasile col marchio “Ipanema”. Un’esposizione di respiro internazionale visitata da migliaia di persone e che gli è valsa una laurea honoris causa dell’università di Mosca in mineralogia … “”””

Oltre a quanto ricordato dall’articolo del Piccolo aggiungo che Primo Rovis fu sponsor (o meglio… unico finanziatore) della Società Ciclistica G. Bartali molto attiva a Trieste negli anni ’60 e che contendeva alla Società F. Coppi sponsorizzata dalla Hausbrant il “mercato” dei giovani talenti triestini che si cimentavano ogni domenica per tutto il periodo estivo in gare a livello regionale ed anche in Veneto. I migliori in gare a livello nazionale. Sede della società era presso il bar Cattaruzza  in riva Tre Novembre angolo con via Milano e poi con la chiusura dello stesso in altro bar di via Rossini.
Pura coincidenza che la sede della società rivale F. Coppi fosse anche lei al  bar Cataruzza ma di proprietà di altra persona. Pura omonimia. Questo bar esiste ancora, sulle rive angolo via Macchiavelli, ben rifatto e frequentato soprattutto dai dipendenti (es Fincantieri) delle aziende della zona.

Nota 2
Marino Lusy un uomo eclettico i cui interessi spaziavano dall’alpinismo, alle raccolte d’arte, grande viaggiatore specie in Giappone, nonché benefattore stante le sue ampie ricchezze derivanti dalla sua famiglia, di origine greca, stabilitasi a Trieste dove nel 1880 Marino Lusy nacque.

Nota 3
La ricostruzione delle prime origini del monte di pietà a Trieste vede varie tesi
Una prima ipotesi lo vede come istituzione nel 1588 ad opera di ebrei.
Altra tesi dice che fu idea di un padre capuccino, tale Giovan Battista d’Este mentre per il Kandler il vescovo Pompeo Coronini (siamo intorno al 1630) avrebbe posto un monte di pietà nella sagrestia della chiesa del Rosario.
Visto l’ampio uso di questa istituzione (siamo nel 1600 ed inizi 1700 ossia in tempi di grandi povertà) sorsero altri monti di pietà privati sicché il governatore Francesco Stadion (quello cui fu intitolata la via che ora è la Cesare Battisti) su proposta del podestà Muzio de Tommasini (Giardin Pubblico) decise di fare una unica istituzione comunale. Sede in via dell’Ospedale dal 1846.
Da lì trasmigrò per l’attuale sede ai primi del ‘900.
Nel 1929 cessò di essere istituzione comunale ed è divenuto una sezione della Cassa di Risparmio di Trieste per poi passare ora nella gestione dell’UniCredit.
Ma perché il nome di Monte di Pietà ? che è nome ufficiale come scritta ricavata nella pietra sotto il tetto del palazzo evidenzia.
Nulla a che vedere con sentimenti di tristezza (pietà) verso coloro che si vedevano (si vedono) costretti a vendere i gioielli di famiglia per sopravvivere.
Il nome deriva dal fatto che il primo e più famoso Banco dei Pegni si trovava a Roma in via Monte di Pietà.
Attualmente questa istituzione ha perso buona parte della sua importanza con la diffusione dei “compro oro” che – valutazioni etiche e morali a parte su questa categoria di negozi e sulle società che li gestiscono – offrono prestazioni migliori rispetto un banco di pegni la cui utilità sembra ormai essersi ristretta solo per chi ha la certezza di avere solo un momentaneo momento di difficoltà economica. Ossia per chi ha certezza di poter restituire al termine del periodo concordato l’intera somma ricevuta e riprendersi cosi il suo bene. Se non ha questa certezza e non è in grado di restituire l’intera somma perde il suo bene. E fino a qui nulla di grave. Il punto dolente è che il suo bene viene sempre sottostimato perché il banco di pegni si tiene un margine di sicurezza sia per spese e interessi ma anche per possibili variazioni del mercato (es dell’oro).
I “compro oro” ritirano l’oro al prezzo pieno di mercato corrente. Da qui la loro fortuna e diffusione.

Nota 4
Architetti Zanon, Fister e Zucca

Nota 5
Giusppe Tonello è fratello di Gaspare Tonello fondatore del cantiere San Marco. Dopo complesse vicende e dopo la morte di Gaspare il cantiere passò nella mani di Giuseppe Tonello nel 1861.
Da questo cantiere uscirono varie navi da guerra per la flotta austriaca tra cui la famosa corazzata Radetzky

Nota 6
A Trieste Singer è sempre stato nome caro a tutti perché in tutte le case c’era una Singer. Pronunciata come se fosse scritto Singher ossia con la G dura.

Cara anche perché sempre ritenuta azienda mitteleuropea laddove invece la Singer è sempre stata una multinazionale americana con fabbriche in tutto il mondo. Per il mercato italiano ed europeo la fabbrica era Karlsruhe nel sud della Germania. Da qui la credenza che Singer fosse tedesca e da qui la sua pronuncia alla tedesca.
Ancora qualche riga su questo nome dietro il quale c’è una grande storia del tutto sconosciuta e che alla fine si tinge anche di giallo.
La fabbrica tedesca chiuse i battenti a metà anni ‘80 come tante altre nel mondo vista la restrizione del mercato delle macchine per cucire. Sopravvissero alla ristrutturazione della Casa Madre americana Singer solo 3 fabbriche. Quella in Brasile, quella a Taiwan e quella a Monza. Le prime due per merito del basso costo del lavoro. Quella di Monza per la sua efficienza e qualità del prodotto che fu ritenuto superiore a quella di tutte le altre fabbriche che vennero appunto chiuse.
Alla fine anni ‘90 la casa madre americana con un’ OPA spregiudicata dei cinesi passò nelle mani della grande Cina

Acquisto fatto solo per impossessarsi del marchio essendo il nome Singer in quegli anni al quinto posto come fama nel mondo. Dunque non per continuare a produrre macchine per cucire nelle fabbriche (ex) Singer e dunque anche  quella di Monza (1500 dipendenti a metà anni ‘70) ma solo per immettere nella rete commerciale Singer prodotti cinesi.
Alla fabbrica di Monza sopravvissuta egregiamente alla ristrutturazione della Casa Madre americana e vincitrice del confronto con la Germania (sic!) fu riservata triste fine. Dopo un tentativo fallito per la ferma opposizione della dirigenza monzese di svuotare durante le ferie estive – e quindi in assenza dei dipendenti – la fabbrica di tutti i suoi macchinari e portarli in Cina, la fabbrica fu abbandonata a se stessa dai nuovi proprietari cinesi.
P
oco prima dell’inevitabile fallimento un arabo di nome Kassim Abbas si presentò con una valigia piena di dollari rilevando così la fabbrica che ebbe l’illusione di poter ancora vivere.
Nella realtà il personaggio arabo null’altro era che un
componente della famiglia di Saddam che allo scoppio nel marzo 1991 della prima guerra dl Golfo fu espulso dall’Italia. Solo allora divenne chiaro il motivo di quell’acquisto. Il know out nel campo della progettazione elettronica (usato per le macchine per cucire divenute negli anni “elettroniche “) doveva servire per la componentistica del famoso cannone irakeno di cui tanto si parlava in quegli anni.
F
ine.
Dramma di una fabbrica che null’altro è se non dramma di tante famiglie.

Nota 7
Giovanni Mayer, scultore triestino, prima metà ‘900, autore di 7 busti in Giardino Pubblico, ma soprattutto del grande angelo di  7 metri che rappresenta la vittoria alata sopra il Faro della Vittoria.
La città grata ha riservato anche a lui un busto nel Giardino Pubblico

La mia Trieste, 4 Ottobre 2016