Quello che è chiamato Parco della Rimembranza è quella zona che con il nome, un tempo, di colle della Fornace, si apre a sinistra (per chi sale) della via Capitolina e per un piccolo triangolo anche sulla destra delimitato dalla via Di Caboro.
Luogo, nei secoli scorsi, di sepoltura di membri della comunità ebraica in quanto era diventato insufficiente lo spazio del cimitero sito ai piedi di via del Monte. (1)
La decisione di un parco a ricordo dei caduti della guerra fu presa dal Comune nel 1925 e l’anno dopo l’area era pronta con 160 alberi piantati, il primo ad opera del sen. Pitacco dedicandolo alla memoria di Oberdan. Ed anche gli altri 159 alberi furono ognuno dedicato ad 1 caduto, ma di queste dediche si è persa ogni traccia.
Nelle cronache del tempo si legge che “ è antica consuetudine di onorare i caduti in guerra dando vita ad una pianta verso la quale i posteri possano poi portare il loro non immemore sentimento”
E nei testi del Comune si legge che il Parco è suddiviso in 26 settori. Chissà, forse, ma ora è quasi impossibile individuare tutte queste suddivisioni che certamente agli inizi ci saranno state e con una loro logica.
Oggi tutto è fuso su questi prati della memoria verso coloro che, per le varie guerre ed eventi bellici ad essi collegati, hanno perso la vita nei primi 50 anni dello scorso secolo.
Però anche dopo e specie in questi ultimi decenni l’Italia è stata in guerra ed ha avuto i suoi morti non qui commemorati. Guerre non formalmente dichiarate, ma di fatto combattute.
Le 2 guerre del Golfo, Afganistan, Somalia, Libano, Balcani.
Guerre per la pace e quindi ancor più dolorosa la morte di giovani andati “in missione” di pace. Peace keeping è il termine inventato dalla politica per nascondere questa realtà.
Il Parco della Rimembranza creato, – come anche a Udine e Gorizia – a metà anni ‘20 dal regime fascista per celebrare il sacrificio dei soldati e ufficiali della prima guerra e mantenere alto uno spirito patriottico, è divenuto nel corso dei decenni ed anche “grazie” ai numerosi eventi bellici della prima parte del ‘900, luogo di più generale commemorazione di chi ha perso la vita per la guerra.
Il Parco ora contiene diverse tipologie di manufatti commemorativi. Semplificando sono quattro.
– Ci sono le pietre carsiche con singoli nomi di militari caduti, corredate da brevi note su luogo e data della morte e talvolta anche il grado e l’incarico avuto. E’ la parte – per me – più suggestiva e vera. Vera nel senso di “pietas” umana che nomi di ignoti inducono.
– Ci sono lapidi, alcune aggiunte in tempi recenti, con elenchi di nomi.
– Ci sono lapidi a cura di associazioni combattentistiche per ricordare una determinata arma (es. bersaglieri) o anche eventi (es. foibe, partigiani).
– Ci sono monumenti.
Le ho volute tenere distinte non per amore di pignoleria, ma perché il loro significato è molto diverso. In questo articolo le prime due e, nel prossimo, lapidi e monumenti
Le pietre carsiche, alcune ancora bianche, altre diventate grigie, altre ricoperte da muschio, con i loro nomi ricordano degli ignoti che però con una data e un luogo portano a immaginare ciò che in un preciso istante è avvenuto e ha spezzato una vita.
Vedo un aereo che cade e gli istanti di vita sono solo qualche minuto ancora.
Una nave che affonda e gli istanti di vita sono solo alcune ore.
Una ritirata in Russia e gli istanti di vita sono solo qualche giorno.
Un carro armato centrato e la morte è immediata.
Sulla destra della via Capitolina un tratto è dedicato a lapidi che elencano, come su una rubrica del telefono, dei nomi. Buona parte sono pietre levigate di 1 metro per 1 metro infisse a perpendicolo nel terreno.
L’impatto emotivo è tutto diverso da quello delle pietre carsiche.
Alcune di queste sono poco visibili per la vegetazione che tende a ricoprirle. Altre sono spezzate forse per qualche refolo di bora più forte degli altri. O più probabile qualche calcio.
Sono divelte, cadute a terra assieme ai nomi dei caduti che dunque sono caduti due volte.
Se qui la demenza umana si è divertita a infierire su semplici pezzi di pietra con nomi sconosciuti, per le pietre carsiche di cui prima dicevo è l’incuria umana ad essere responsabile dello stato pessimo di molte di esse.
Il tempo, si sa, rovina e ciò che è bianco diventa grigio, il colore rosso oppure nero delle lettere sbiadisce fino a scomparire, il muschio aggredisce.
Si sa. E se oggi (estate 2016) molte sono quelle illeggibili il responsabile non è il tempo, ma l’incuria.
Rimembranza e incuria, un binomio dalla assordante contraddizione.
Nota 1
Il primo cimitero ebraico nasce fuori dalle mura della città in modo del tutto clandestino in quanto i podestà di allora non concedevano agli ebrei il diritto di sepoltura. Essi individuarono come zona cimiteriale la zona verso porta Donota – cioè ai piedi di via del Monte – e solo nel 1400 è arrivato un certo Michele da Norimberga che ha acquistato regolarmente il terreno e quindi il cimitero è diventato ufficiale. Stante il fatto che per la religione ebraica non è consentita la riesumazione, il posto è divenuto presto insufficiente e così le sepolture sono salite su per il colle in tutta la zona ora Parco della Rimembranza
(Segue: Parco della Rimembranza, lapidi e monumenti)